mercoledì, dicembre 28, 2005

CHITARRA

Non la suonavo da tempo.
Le dita sono goffe e rigide, non trovano le corde, sembrano litigare tra loro.
La mano destra, invece, perde il ritmo e si trova sempre in ritardo o in anticipo.
E' sconfortante persino per uno "strimpellatore da comitiva" come me abituato a suonare ad orecchio senza eccessive velleità.
Sto per riporre la chitarra quando le mani mi chiedono di non considerarle più, di pensare a tutto tranne che a loro.
Obbedisco e vado col pensiero alle notti passate a suonare sulla spiaggia o d'inverno in una casa di campagna tutti ammucchiati intorno al fuoco del caminetto.
C'era una ragazza coi capelli da porcospina che si stringeva a me, forse per il freddo, forse perché mi voleva bene.
Era l'unica a non cantare, non le piaceva, ma le piaceva ascoltare la musica ed assorbire le sensazioni della serata.
Le piaceva rendersi permeabile anche durante i viaggi, nelle strade, tra la gente, anche quando andavamo a letto insieme: incamerava emozioni e sensazioni, e le riassaporava quando le andava o ne aveva la necessità.
Ne rivedo gli occhi luccicanti di Vita e mi accorgo che le mani hanno ricordato.
Hanno ricordato il viso della ragazza e le corde della chitarra.
Hanno ricordato che a volte è bene non ragionare sulle cose e lasciarsi andare.