lunedì, gennaio 30, 2006

RAGNATELE

"Fili di ragno invisibili imprigionano la mia vita, ma la mia mente, in fondo al tunnel, continua ad essere libera. Credo che sia ora di fare un po’ di pulizia."

Scrissi queste righe e scattai la foto il 26 settembre 2003.
Sono dovuti passare tre anni, ma la pulizia è in fase conclusiva.
Lo spazio nuovo e sgombro fa quasi paura, e il mucchio di cose alle mie spalle non è da meno, ma devo solo muovere il primo passo ed i piedi proseguiranno da soli verso nuove strade.
Tra le cose che lascerò forse ci sarà questo blog: voglio viaggiare leggero.


Rubens

martedì, gennaio 03, 2006

RADIO A VALVOLE

Quand'ero bambino c'erano ancora le radio a valvole.
Le radio a transistor già esistevano da tempo, ma in famiglia usavamo ancora le radio a valvole dei miei genitori: funzionavano benissimo e non c'era motivo per sostituirle. All'epoca gli oggetti costavano cari ed erano fatti per durare.
In sala c'era il classico mobile in legno che conteneva radio e giradischi con lo sportello per i dischi nella parte inferiore (c'erano anche dei vecchissimi quanto affascinanti 78 giri), in cucina c'era una radio grande quanto un tostapane nella classica plastica che - suppongo - fosse di colore bianco.
Io l'ho sempre vista di colore giallino, quasi avorio, credo per l'invecchiamento, e non riesco ad immaginarla diversa.
Ma l'oggetto del desiderio era la minuscola radio "Gnomo" di mia madre, sempre a valvole. L'aveva sin da ragazza, un cubetto di plastica avorio di circa 10 cm per lato, davvero piccola, e continuava a tenerla sul suo comodino del letto matrimoniale.
Due sole rotelle, accensione/volume e sintonia, e il disegnino di uno gnomo tutto colorato. Dal retro usciva un filo per l'antenna.
Quando mi ammalavo, mia madre portava questa radio sul mio comodino per farmi compagnia. Nella mia camera non riceveva bene e dovevo tenere in mano il filo dell'antenna per migliorare il segnale.
Non so le ore che sono stato con quel filo in mano girando la manopola della sintonia in cerca di stazioni lontane: ricevere non era facile.
Oggi sembra che lo sia, ma in mezzo a milioni di segnali è più facile perdere quelli buoni e credere nella facile sostituzione.
Ogni tanto rivorrei un filo da tenere tra le dita per cercare un segnale difficile, ma prezioso e unico.


Nella foto: La "Gnomo" prodotta dalla Era nel 1948
Radio italiana in plastica stampata, forse il più piccolo dei ricevitori realizzati prima della comparsa del transistor (cm 11x8x8). Era un modello assai diffuso, nonostante le caratteristiche tecniche modeste. Il circuito è a sole due valvole e consente l'ascolto delle frequenze unicamente in onde medie.
(info da www.radiodantan.it)

mercoledì, dicembre 28, 2005

CHITARRA

Non la suonavo da tempo.
Le dita sono goffe e rigide, non trovano le corde, sembrano litigare tra loro.
La mano destra, invece, perde il ritmo e si trova sempre in ritardo o in anticipo.
E' sconfortante persino per uno "strimpellatore da comitiva" come me abituato a suonare ad orecchio senza eccessive velleità.
Sto per riporre la chitarra quando le mani mi chiedono di non considerarle più, di pensare a tutto tranne che a loro.
Obbedisco e vado col pensiero alle notti passate a suonare sulla spiaggia o d'inverno in una casa di campagna tutti ammucchiati intorno al fuoco del caminetto.
C'era una ragazza coi capelli da porcospina che si stringeva a me, forse per il freddo, forse perché mi voleva bene.
Era l'unica a non cantare, non le piaceva, ma le piaceva ascoltare la musica ed assorbire le sensazioni della serata.
Le piaceva rendersi permeabile anche durante i viaggi, nelle strade, tra la gente, anche quando andavamo a letto insieme: incamerava emozioni e sensazioni, e le riassaporava quando le andava o ne aveva la necessità.
Ne rivedo gli occhi luccicanti di Vita e mi accorgo che le mani hanno ricordato.
Hanno ricordato il viso della ragazza e le corde della chitarra.
Hanno ricordato che a volte è bene non ragionare sulle cose e lasciarsi andare.

sabato, dicembre 24, 2005

BUON NATALE!

Siamo ormai alla Vigilia e le ore scorrono in fretta.
Gli ultimi acquisti ("Manca il vino per stasera! Il panettone, avete dimenticato il panettone!") e gli ultimi regali, le telefonate d'auguri. Qualcuno inizia a cucinare già da ora.
Io ho fatto tutto ed aspetto che arrivi mio fratello da Firenze con la famiglia per passare il Natale insieme (buffo: lui viene da Firenze mentre io vorrei andarci...).
Ieri sera sono passato alla Feltrinelli ed ho comprato due libri di Erri De Luca ("Non ora, non qui" e "Il contrario di uno"). Uscendo ho notato, riflessa in una vetrina, una curiosa combinazione tra cartello stradale e luminaria natalizia: sarà per lo spirito di questi giorni, sarà per le musiche soft diffuse in strada dagli altoparlanti, ma la prima cosa che mi è venuta da pensare è stata che la freccia indicasse la direzione del Paradiso.
Già, però subito sotto c'è un cartello che specifica "eccetto autorizzati".
Ecco, il mio augurio per questo Natale è che, ovunque e qualunque sia il proprio Paradiso personale, si sia comunque autorizzati!




Foto:
"La direzione per il Paradiso... ma non per tutti!"

giovedì, dicembre 22, 2005

L'ALBERO DI NATALE

Come da tradizione, ogni anno a casa mia si fa l'albero di Natale.
Da bambino l'evento era il segnale indiscutibile delle feste in arrivo e la felicità era equamente ripartita tra le vacanze scolastiche, la ricezione dei doni ed il divertimento di fare l'albero ed il presepe.
Mia madre tirava giù dalla soffitta le scatole con le palle - tutte di vetro - e le decorazioni, ed ogni volta c'era il piacere di ritrovare quelle preferite, quelle "particolari", quelle che mi facevano sognare di più.
Ce n'era una che ricordo bene: tutta trasparente coi fiocchi di neve dipinti sulla superficie, conteneva all'interno un minuscolo paesaggio innevato. C'era anche una casetta, una specie di baita, con le finestre dipinte di rosso per significare che all'interno c'era il camino acceso.
Restavo a lungo ad osservare il paesaggio immaginando di poter diventare talmente piccolo da poter entrare nella palla e desideravo di poter trovare la porta della baita, simbolo dello spirito del Natale, di intimità, calore e protezione dal freddo esterno.
Una volta avevo persino pensato di rompere la palla per aprire la casetta e vedere chi o cosa ci fosse al suo interno, ma non l'ho mai fatto: è rimasto un sogno ad occhi aperti e la fantasia di un bambino.

MI DISPIACE

Quando i pensieri non riescono a tramutarsi in parole o diventano quelle sbagliate.
Quando le parole non riescono ad esprimere i sentimenti o sembrano banali, scontate e già sentite.
Mi dispiace.

lunedì, dicembre 19, 2005

MANI

Mi piacciono queste mani che si tengono strette pur facendolo con delicatezza.
Due mani sembrano proteggere la terza.
Forse, al contrario, vi cercano sostegno.
Forse, e sono sicuro che sia così, sono mani che stanno imparando a stare insieme ed a trarre maggior forza da questo.

mercoledì, dicembre 14, 2005

VERONA

E' in attesa come una vecchia signora seduta dietro la finestra.
Con occhi curiosi e ancora vivaci scruta la strada e le persone, cerca tracce di vita nei segni dei loro percorsi, nei gesti, nelle parole che non può sentire ma immagina.
E immagina delle storie che iniziano in modo misterioso, si aggrovigliano, si dipanano e continuano più forti.

"Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.
(Italo Calvino, Le città invisibili)"

martedì, dicembre 13, 2005

IO NON HO MANI CHE MI ACCAREZZINO IL VOLTO

E' il titolo (a sua volta ispirato ad una poesia del 1948 di Padre David Maria Turoldo, "Io non ho mani") di una famosa serie di foto di Mario Giacomelli, quella detta "dei pretini", ma oggi è anche il titolo di questo intervento.
Non ho mani che mi carezzino il volto.
Ma posso essere io a carezzare.
Con le mani, con le parole, coi pensieri.
Posso uscire con la macchina fotografica in cerca di immagini nascoste nei muri scrostati, nella ruggine dei cancelli, nelle pozzanghere ed i cerchi concentrici che la pioggia vi crea: si espandono, s'intersecano e scompaiono come i miei pensieri.
Posso tornare a casa senza foto perché le più belle non sono riuscito a scattarle e sono rimaste nei miei occhi e nella mia mente.
Posso osservare lo sporco e grigio cielo cittadino, e vedere lo stesso il mio pezzetto di cielo pulito: a volte sereno, a volte burrascoso, ma sempre pulito.
Niente può sporcarlo.

giovedì, dicembre 08, 2005

FIRENZE - ORTICHE

Piove, ma nonostante tutto passeggio allegramente per Firenze e mi permetto anche il lusso di scattare delle foto con una compatta.
Ad un tratto vedo, in mezzo a delle pietre scure rese lucide dalla pioggia, un ciuffo di ortiche. La sensazione è forte ed immediata: le ortiche, piccole e delicate, bellissime, sembrano lottare per rivendicare il loro diritto alla Vita, ad esistere. O forse no, non lottano: vivono e basta, senza porsi domande, senza chiedersi se la dura pietra le soffocheranno o la mano di un uomo caritatevole le strapperanno perché "sono solo ortiche, erba cattiva".
L'ortica non sa di essere "erba cattiva": sa di essere lì per vivere senza voler dare fastidio o fare male a nessuno.
Non è colpa sua se la toccano.
Non è colpa sua se qualcuno ha diviso il mondo in "Buoni e cattivi".
Non è colpa sua se le menzogne ed i pregiudizi di alcuni la fanno passare per quello che non è.

LA VERA FORZA

Hai scritto "Chissà se la vera Forza sta nell'afferrare vittorie o nel non lasciarsi travolgere dalle sconfitte".
Credo che la vera Forza sia nel farle entrambe tue, nel non lasciarti travolgere dalle parole - troppo spesso carta natalizia a buon mercato - ed i pensieri.
La vera Forza ce l'hai ed è in te che hai già fatte tue vittorie e sconfitte altrimenti non saresti qui a parlarne.
Non ti dico di cercarla e ritrovarla, non ti dico di scrutare in te stessa, ma semplicemente di lasciarla uscire da sola: dalle il tempo.
C'è.
Ce l'hai.
E' tua e nessuno te la può togliere.
Non la soffocare sotto parole e pensieri.

mercoledì, dicembre 07, 2005

POLLICINO E LE BRICIOLE

Sembra ormai lontanissimo, ma era solo il 27 ottobre quando scrissi nel moleskine queste note che poi non pubblicai:

"Come Pollicino ho raccolto briciole di pane lungo la strada, ma questa volta si tratta di briciole di felicità. Briciole, ma non per questo meno intense o meno importanti, e messe insieme possono fanno un "tanto" che quasi sorprende quando lo si ha davanti. Cazzo, ne ho raccolte così tante? Così tante qualcuno ne ha perse lungo la strada? O le aveva lasciate apposta per me? Fattostà che c'erano, un po' per caso, un po' per gioco ed un po' con intenzione, ed io le ho raccolte. Finiranno all'improvviso o incontrerò il Dispensatore di Briciole?"

Non pubblicai l'intervento perché c'era qualcosa che non mi convinceva nonostante l'immagine delicata, quasi fiabesca di Pollicino e delle briciole: una metafora abbastanza efficace della mia vita in quel periodo. "Briciole di felicità" è tenero e poetico, ma contiene in sé l'idea riduttiva di non poter arrivare alla felicità totale (ammesso che ci si possa arrivare), quasi un arrendersi ad uno stato di fatto negativo e ad una sopravvivenza grazie alle briciole, anche se subito dopo scrivevo "metterle insieme" e "fanno un tanto".
E poi il finale: "finiranno all'improvviso?".
Domanda carina da leggere, ma che implica passività. Ecco quello che non andava: la passività.
Occorre distinguere la raccolta delle briciole lasciate da qualcuno, situazione passiva, dalla situazione dinamica della ricerca della felicità e del fare di tutto per conquistarla, giorno dopo giorno, costi quel che costi.
Rischiando anche di sbagliare e fallire, ma ci si deve provare sempre: la Vita va vissuta.
Vissuta in maniera attiva.
Vissuta con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma non si hanno vittorie e sconfitte se non la si vive in maniera attiva e ci si limita a raccogliere le briciole che qualcuno ha lasciato cadere.

sabato, dicembre 03, 2005

VISITE, PIOGGIA E MOLESKINE

Stamattina piove e fa freddo.
Sono le 8.30 e sono in studio da poco quando entra un mio vecchio amico. Non si è coperto ed è bagnato, ma sembra non accorgersene. Ha gli occhi lontani e febbrili nello stesso tempo, parla a voce bassa nonostante si sia da soli.
"Ho ritirato le analisi"
"Come sono?"
"Brutte"
Fissa i suoi occhi nei miei, accenna il sorriso strano che non tutti capiscono, un sorriso che vuole trasmettere conforto persino quando è lui ad averne bisogno.
"Quanto tempo?"
"Un anno, forse due..."
"Che hai intenzione di fare?"
"Il solito, magari qualche viaggetto in più, non ho molti soldi. Di cose belle è pieno il mondo, ma ce ne sono tantissime altrettanto belle a portata di mano, tante da vivere, tante da scoprire. Ti vorrei lasciare una cosa, ti dispiace?"
Mi mette in mano un quadernetto nero - un moleskine - identico al mio.
"E' quello nuovo. Ci ho scritto solo poche pagine, se ti fa piacere vorrei che continuassi a riempirlo tu"
Non rispondo, ma è implicito nella mano che accetta il moleskine.
Mi saluta dicendo "A presto" come sempre, col sorriso strano e la solita luce che brilla in fondo agli occhi.
Si allontana sotto la pioggia a capo scoperto e presto svanisce in lontananza.
La strada è più vuota adesso e sento freddo.
Stringo il moleskine tra le mani e mi sembra emanare calore.
Il suo.

domenica, novembre 27, 2005

NOCI FRESCHE

Da pochi anni a questa parte ho scoperto che esistono le "noci fresche".
Per me le noci sono sempre state sinonimo di frutta secca e di festività natalizie: un bel giorno a tavola cominciavano a comparire noci, mandorle e datteri, segno inequivocabile che il Natale si stava avvicinando ed ogni noce frantumata in più era una frazione di tempo in meno per la chiusura della scuola, le feste ed i regali.
Gli schiaccianoci che non erano mai sufficienti per tutti e ce li passavano l'un l'altro mettendo in pratica diverse procedure di "lavorazione": c'era chi ne rompeva un bel po' e poi iniziava ad aprirle, chi ne rompeva una alla volta, chi si lamentava che quelle difficili a rompersi capitavano tutte a lui e le metteva nel piatto del vicino.
Le noci fresche hanno un sapore diverso da quelle secche e vanno sbucciate perché la pellicina è molto amara (anche se a me piace!). Questa lunga operazione ha come conseguenza che le dita si macchiano: un piccolo prezzo da pagare per godere della loro unicità per un periodo dell'anno così breve.
Molte cose belle durano poco e sono difficili da vivere o da gestire, ma è da stupidi rinunciarci.

sabato, novembre 26, 2005

MATITE E MOLESKINE

Ho rifatto la punta al mozzicone di matita che da anni scrive le mie note in un piccolo quaderno dalla copertina nera. Contrariamente alle apparenze, il mozzicone di matita è perfetto per scrivere e perfetto per accompagnare il quadernetto. Qualcuno, scherzando, mi ha detto "Buttalo che ti regalo io una matita nuova!", ma a me quel mozzicone piace: è esagerato dire che gli sono affezionato?
Poi vedo il riflesso del mio viso nella finestra e penso di essere un po' come quella matita, consumata per aver scritto tanto, ma in grado di scrivere quasi altrettanto e, soprattutto, con una gran voglia di farlo.
Un mio amico mette da parte le matite giunte a metà. Ne ha una scatola piena. Dice che prima o poi gli torneranno utili, ma intanto giacciono tutte lì, inutilizzate. Forse un giorno ne adopererà una, ma prima di quel giorno potrebbe accadere di tutto. Io continuo ad adoperare la mia matita: la consumerò sino alla fine per fermare i miei pensieri, per annotarli nel Moleskine in forma di parole o disegni che non seguono alcun nesso logico se non l'essere "miei".

Nella foto:
Lo sketchbook di Vincent Van Gogh (1888/1890)
conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam

sabato, novembre 19, 2005

LIBERTA' O CATENE?


Prendo spunto da una frase di Sartre per qualche considerazione:

"Hai rinunciato a tutto per essere libero.
Fa ancora un passo, rinuncia anche alla tua libertà.
E tutto ti sarà reso."

(J.P. Sartre, L'età della ragione)


Ho inseguito la Libertà nello spazio e nel tempo pagandone felice il prezzo, ma disseminando il tragitto di cadaveri e trovandomi avvolto nel sudario della "Libertà a tutti i costi": libero, ma prigioniero della mia stessa libertà e con una valigia piena di rinunce, non conquiste.
Poi la scoperta sorprendentemente semplice, quella di "essere libero di rinunciare alla mia libertà", di non farne una bandiera o un feticcio.
Anche questa è Libertà, forse la più estrema, la più vera.
Se la mia mente è libera lo sono anche le mie azioni e di conseguenza la mia vita: libero di partire domenica da solo, un giorno prima rispetto al previsto, e di incontrare in una stazione intermedia una persona che, senza obblighi, ha voluto fare lo stesso.
Liberi di proseguire il viaggio insieme. Felici.
Liberi di sentire il nostri respiri fondersi nel buio della camera di un ostello.
Libertà amplificate, non ridotte.

(Grazie - sì, dico proprio a te! - per la frase di Sartre e per avermi reso tutto)

venerdì, novembre 18, 2005

STELLE CADENTI


Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella.
Se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo.
Se stai guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa.
(Bob Marley)


Non ho visto stelle cadenti scrutando il cielo, ma Venere brillava forte.
Non è neanche una stella, ma cosa importa? L'importante è scrutare il cielo e continuare a credere.